Mattia Moreni l'artista

Mattia Moreni artista, Mattia Moreni istrione, Mattia Moreni provocatore, teatrante. Mattia Moreni il guaritore, Mattia Moreni il folle-lucido, Mattia Moreni lo scontroso, l'inavvicinabile. Di lui si è detto tutto e anche di più, su di lui si sono costruite favole-leggende e spesso si sono mitizzate le azioni i gesti e le affermazioni. Di lui con facilità e superficialità spesso lo si è evitato, dimostrando come sempre che la differenza nella vita la fanno in pochi, quelli che stanno veramente attenti, che sono davvero capaci di osservare e di accorgersi di come gira il mondo, e lui era uno di quelli. Come diceva Mattia; io di mestiere faccio l'osservatore, seduto sul lato corto del tavolo in cucina, con il sole che traspirava dalla finestra socchiusa, con un'illuminazione appena sufficiente per non essere invadente, passava i giorni, le ore, i mesi, si riprendeva dalle fatiche, riordinava il suo pensiero il suo andare. Un uomo lontano dalla mondanità e sempre più rintanato nelle Calbane Vecchie dove, con le antenne sempre all'erta era capace di captare i messaggi, le onde e le vibrazioni necessarie per essere al centro del mondo in ogni momento ed intuire l'andare delle cose. Era un artigiano straordinario, con la stessa attenzione con cui guardava le cose e tutto ciò che gli girava intorno, con altrettanta dedizione e capacità forgiava le sue sculture, dipingeva i suoi quadri, componeva le sue "massime", incontrava parlava viveva le persone. Premeditava il momento giusto, quello che quasi sempre accade per i più quando meno se lo aspettano; l'attendere-l'attenzione che sottolineava con un "adesso" o un "ah!", con gli occhi spalancati e un senso di leggero deglutire. Ci teneva a precisare "io faccio tutto con la stessa attenzione e lo stesso candore iniziale; guardare un quadro, leccare la fica, dipingere un quadro". Lui stesso non capiva come si potesse entrare in un grande museo e scorrere i quadri e le opere, come si cercano i prodotti sugli scaffali dei supermercati, "il mestiere del guardare è un mestiere difficile e faticoso e richiede molto tempo, molta energia" diceva. Spesso ho parlato insieme con lui davanti al tavolo delle Calbane, a volte sorseggiando del vino rosso, altre volte caffè d'orzo o semplice limonata allungata con acqua addizionata all'Idrolitina del cavalier Gazzoni, con Poupy che mi aggiornava sui fatti successi tra un incontro e l'altro. Moreni era un uomo attento e capace di ironizzare sull'andare delle cose e allo stesso tempo capace di vivere e di conoscere il senso della vita. L'ho sentito più volte dire "sono un uomo felice" e si riferiva a quello che aveva vissuto, a ciò che aveva intuito, fatto e che si aspettava di realizzare, stando lì in quel posto con le persone che lui voleva vicino, (molto poche e soprattutto quelle che "non rompono"). Altre volte l'ho visto dipingere oppure, l'ho ascoltato, mentre mi descriveva il suo lavoro successivo mostrandomi il pacco di disegni appena fatti, era stupefacente il "suo candore iniziale" nella sua vita non aveva "preso" l'abitudine alle cose e per lui anche un gesto già fatto aveva sempre lo stupore iniziale poiché il momento e le situazioni erano sempre diverse. I suoi gesti non erano di maniera, ma sempre accompagnati dalle emozioni per ciò che accadeva. Parlare di Moreni fa sempre un senso di ammirazione e di profonda stima, specialmente quando si cerca con le parole di rendergli giustizia o di fargli un omaggio sul campo, come si sta cercando di fare con questa mostra.
      Valentina Silvana Costa
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